Munch Museet 1-2-3 (A)


A volte hai solo bisogno di immergerti nel sogno. Per fuggire dall’ansia di un anno di lavoro, per ricaricare te stesso, prima di tornare a casa tua.

Sei arrivata da poco in città e stai costruendo quei punti fermi per te imprescindibili, quelli che ti permetteranno di vivere per un mese in uno spazio del tutto nuovo.

In una casa nuova. In un ambiente ancora per te sconosciuto.

Sei in attesa della giusta suggestione, quella che ti metterà a tuo agio da quel momento in poi, dunque.

E lei arriva: in un momento inaspettato, ma arriva. Mentre vaghi per un museo già visto in precedenza, da cui non ti saresti aspettata particolari novità. O sorprese.

Wroooong!

E invece è stato proprio lì che hai trovato un piccolo mondo magico in cui immergerti, in modo inaspettato ed imprevisto.

E quell’immersione ti colpisce a tal punto, che senti il bisogno di provarla ancora.

E ancora.

Per sincerarti che si fissi dentro di te fino in fondo. Hai bisogno di immergerti lì fino in fondo. Più volte.

Perché è abbastanza raro trovarsi dentro una magia in grado di allentare l’ansia che ti porti dietro da mesi, qualcosa che sia capace di far abbassare le antenne troppo tese del Paguro Bernardo appena sbarcato dall’Italia, che finalmente si sente a suo agio.

Immerso nel suo ambiente fluttuante. Accolto dalla sua città di elezione attraverso una sorta di magia. A casa, dunque.

Ok. Procediamo per gradi.

Questo è il racconto di una piccola immersione in un angoletto magico di Oslo.

Anzi tre: di tre piccole immersioni.

(wait! rewind!)

Ok. Ok. Mi spiego meglio.

Ripartiamo dal principio.

Dal momento che nel mio primo anno oslese non ero riuscita a trovarlo subito, l’anno successivo – nel 2023 – ho fatto visita al Munch Museet per tre volte.

In un solo mese. Per tre volte.

(per essere certa di aver capito davvero dove fosse? maybe)

L’ho percorso e setacciato tre volte, dunque.

Ne valeva la pena e penso che quest’anno, nel mio mese di permanenza, farò più o meno la stessa cosa, se tutto andrà bene.

Le mostre temporanee e gli spazi che ho visitato nel 2023 sono stati tutti davvero molto belli e suggestivi.

Parto dalla prima. Dal racconto della prima cosa bella.

Per questo mio viaggio interiore, sono partita dall’ultimo piano del museo.

È stato lì che ho trovato lo spazio che mi ha stregata. 

In parte perché l’ambientazione faceva riferimento alla magia, in parte perché la creatività degli allestitori ha avuto l’effetto di spingermi a tornare di nuovo lì.

Per tre volte, appunto.

In cima al museo, dunque. Ultimo piano, dunque.

Lí, la scorsa estate, era stata allestita “The Chamber of Chaos”.

Un luogo certamente ideato per ragazzi e bambini.

Uno spazio continuamente in fieri, cangiante, che mi si è presentato diverso, ogni volta che sono entrata lì.

All’inizio tutto appariva come avvolto nell’oscurità, come accade in tutti i luoghi fatati che si rispettino. Poi si arrivava nella grande sala nella quale avvenivano piccole e grandi magie.

Da fuori, all’ingresso, prima di arrivare, si sentivano grida divertite e strani suoni.

Una volta entrati, ci si poteva trovare immersi nella luce o nel buio totale.

L’ambiente cambiava di continuo.

Arazzi di tessuto grezzo e sfilacciato dai colori vivaci erano appesi intorno alle pareti.

Ovunque, cuscini grandi e piccoli sui quali era possibile accomodarsi. Tutti gli arredi erano a disposizione sia dei grandi che dei piccoli visitatori.

Pupazzi e fantasmi pendevano dal soffitto.

Ci si poteva sedere su lunghe panche, spostare sedili e cuscini a piacimento, travestirsi e giocare a fare i troll o gli elfi.

Ci si poteva fotografare davanti agli specchi deformanti, senza paura di apparire ridicoli.

Nessuno, lì, si sentiva ridicolo o fuori posto.

Si viveva quello spazio in tutta libertà. 

Tutti quanti: bambini, grandi e piccoli.

Si era lì per divertirsi e rilassarsi. E proprio questo ho fatto, tutte e tre le volte.

Sulle pareti, tutto intorno, cartelli con slogan a volte bislacchi, ma sempre divertenti.

In alto, verso il soffitto, proprio sopra i cartelli e gli arazzi, scorrevano video e musiche.

Tutti diversi.

Pesci che nuotavano.

Fiori che si muovevano nello spazio.

Stelle danzanti.

Amebe che fluttuavano libere nello spazio.

I filmati variavano variavano di continuo, così come le musiche.

Alcune di esser derivavano di sicuro dalla tradizione popolare nordica.

(uno dei motivi che mi hanno spinto a tornare: quei filmati proiettati  in alto, sulle pareti: li ho adorati e sarei rimasta per ore a godermeli)

Il gioco, poi, era onnipresente in questo spazio di piccole magie.

E da quell’atmosfera giocosa sono stata ipnotizzata.

Devo ammetterlo, però: non mi sono né travestita, né buttata sui cuscini.

Mi sono semplicemente seduta sui divani che correvano accanto alle pareti e mi sono goduta lo spettacolo dei tanti bambini che giocavano.

Si travestivano, si inseguivano nella sala.

Perché – va detto – il vero spettacolo della Scandinavia sono i tanti, tanti bambini che animano strade, piazze giardini e musei.

Una folla di bambini divertiti e vocianti: quello che da noi in Italia è ormai solo un ricordo.