La strada alternativa: Slottsparken


Gli oslesi ne sanno una più del diavolo, dammit.

Hanno messo insieme questo posto – Slottsparken – che mi ha stregato. È diventato per me un luogo del cuore.

Non riesco a fare a meno di lui. Devo passarci almeno una volta al giorno.

È il secondo itinerario che faccio per uscire di casa e per tornare.

(non so come farò – una volta tornata a casa: forse è per questo che sto scattando decine e decine di foto in mezzo a questi prati)

Passo di qui con ogni tempo possibile: sole, nuvole, pioggia.

Perché è un luogo vissuto dagli oslesi anche quando piove a dirotto, anche perché in questa città, anche d’estate, piove almeno una volta al giorno.

(e ‘almeno’ vuol dire che spesso piove più di una volta al giorno)

Loro – gli oslesi – però non si lasciano intimidire. 

Continuano a starsene in giro, anzi, per dimostrare al maltempo che ha torto marcio, si rifiutano ostinatamente di aprire gli ombrelli, a meno che la pioggia non scenda giù copiosa. 

(spesso, nemmeno in quel caso)

Camminano a testa alta e fradicia. Ma camminano. Tengono quelle loro teste bionde dritte sotto l’acqua che cade, continuando imperterriti ad andare in bici o in monopattino.

Si limitano a tirare giù le cappottine dei passeggini dei più piccoli.

I bambini più grandicelli, invece, quelli che si trovavano nel parco già prima che iniziasse a piovere, continuano a giocare ad arrampicarsi, a chiamare le papere del laghetto, come se niente fosse.

Questo parco così amato – che si trova a nemmeno duecento metri da dove abito – è dunque diventato per me un simbolo.

Di benessere, per lo più.

Ho iniziato anch’io a fregarmene della pioggia, evitando di aprire l’ombrello, tirando su il cappuccio del mio parka, ma solo alla fine, aprendo il benedetto ombrello solo quando le maniche della giacca cominciano a gocciolare.

Per me questo luogo è anche di passaggio, mentre mi dirigo a vedere qualche museo o una mostra. A fare cose belle.

È il posto ideale (insieme alla fortezza di Akershus) per cercare una panchina sulla quale sedermi per leggermi in santa pace un libro.

La “mia” panchina, ad Akershus

Perché in questa città, anche nei luoghi più affollati, domina il silenzio, le gente parla per lo più a bassa voce. Si può leggere o scrivere, senza essere mai disturbati, nemmeno dalle decine di bambini che giocano felici nel parco, ma senza gridare.

La lentezza.

Ecco, sì, questa è una città fatta per la lentezza. Se si vede qualcuno correre è solo perché si sta allenando.

Le mia panchine preferite a Slottsparken

Non ignoro la presenza di angoli meno luminosi: qua e là ho visto diversi mendicanti.

Quello che sembra totalmente assente – almeno, ad uno sguardo superficiale come il mio, che non conosco ancora bene questa cultura – è il degrado.

Chissà, forse sarà confinato in qualche quartiere periferico, non so.

Tutto quello che ho visto finora, le persone, come i luoghi sono rispettati, mi piace molto.

I mean: non disprezzo certo il Paese da cui provengo. So bene chi sono e da dove arrivo.

È che questi luoghi così diversi mi hanno preso nella loro rete fin dalla prima volta – quasi trent’anni fa. E da allora il mio amore per la Scandinavia, in generale, e per la Norvegia, in particolare, non è mai cambiato.

Anche quando sono stata costretta a stare lontana da lei.