Casa


Non c’è bisogno di scomodare Proust, e con lui il Narratore, con le fisime che riusciva a mettere in atto ogni volta che si profilasse per lui l’occasione di partire.

Non che non volesse. Anzi. Trascorreva giornate intere a studiare l’orario ferroviario e ad immaginare gli itinerari dei treni, stazione dopo stazione, fino ad arrivare con la mente in Normandia, uno dei suoi luoghi del cuore.

Viaggi mentali, dunque. Che non avrebbero comportato per lui nulla di rischioso. Non lo avrebbero costretto ad uscire da casa sua. Dal guscio della sua cara.

Quando invece si trovava costretto a fare le valige , a prendere quel treno. A partire.

Quando tutto si concretizzava, ecco dunque che arrivavano, implacabili, le crisi di asma, le febbri improvvise.

Tutto, pur di non lasciare il familiare ambiente della casa. La mamma.

L’idea di doversi abituare ad una nuova camera, a nuovi odori, a nuovi colori, a nuovi rumori lo faceva impazzire.

Poi, dopo un paio di giorni di sofferenza, di crisi di nervi, la nuova camera diventava qualcosa di familiare.

Bernardo il Paguro aveva preso confidenza col suo guscio. La vacanza poteva partire.

Capitava al Narratore, come capita a molti di noi.

Ho programmato (come lui) questo viaggio in modo minuzioso. L’ho desiderato a lungo. Amato molto.

Eppure, una volta arrivata, ho dovuto prendere le misure al mio piccolissimo appartamento, renderlo mio.

Imparare a memoria il codice numerico indispensabile per entrare dal portone ed in casa. Familiarizzare con odori, suoni, colori.

Un paio di giorni ed era fatta. La casa in cui abito è definitivamente mia, ora.