Thor, dio del tuono e dei muscoli addominali (seconda parte)


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Thor e la nostra capogruppo

Quando hai poco più di 25 anni, hai camminato a lungo, in giro per il mondo, dalla Russia ai Paesi Baltici, dalla Svezia (dove sei nato) alle Svalbard, dove sei approdato da poco, non hai alcun problema ad arrampicarti come uno stambecco su pietraie scoscese come quella che stavamo percorrendo da ore.

Osservi persino con uno sguardo benevolo le carampane  senza fiato per starti dietro, quelle che ti seguono lungo i fianchi scoscesi della montagna, animate dalla speranza che quella salita in verticale stia per finire.

Perché tu hai detto loro – poco prima dell’inizio dell’escursione – che la salita sarebbe stata impegnativa, ma che poi il terreno sarebbe diventato pianeggiante, perché la montagna che stavamo scalando (in realtà) era un altipiano.

Quella parola: “altipiano” era quella che mi teneva in vita. Ero stanca morta, con le caviglie che gridavano “aiuto!”, come lo scienziato imprigionato nella ragnatela, nel film “La Mosca”.

La salita sarebbe finita, prima o poi, ci dicevamo.

(la salita non finisce mai, invece, ma questa era una sottile metafora che in quel momento non riuscivamo davvero a cogliere)

Salivamo, pietra dopo pietra. Testardi.

Ogni tanto contrattavamo una sosta con Thor. E lui, benevolo, diceva di sì, si metteva a guardare tra le pietre e – uomo fortunato e benedetto dagli dei – era riuscito a trovare persino un fossile.

Il fossile trovato da Thor

(l’ho un po’ odiato, in quel momento, devo ammetterlo)

Accanto a noi c’era un grande ghiacciaio (quello che avremmo dovuto scalare, ma che, per fortuna abbiamo scartato), di cui si vedevano qua e là affacciarsi sopra di noi delle lingue, da cui cadeva acqua di fusione.

Acqua ovunque, sotto i nostri piedi.

Acqua di fusione del ghiacciaio

Per il resto, solo pietre, rese scivolose dalla presenza dell’acqua. Ovunque. Pietre. 

(se c’è una parola che può essere utilizzata per rendere il mood di quella giornata, direi senz’altro quella: pietre)

L’aspetto impressionante era dato dall’aspetto coloristico: intorno a noi tutto aveva un tono marrone-porpora, con poche venature giallastre/verdastre, spesso dovute al colore dei licheni, unica forma di vita visibile, lì intorno.

Licheni

Mentre salivamo, Thor ci ha posto una domanda.

“Se in questo momento arrivasse un orso, da dove lo vedreste spuntare?”

(bella domanda!)

“boh!” – abbiamo risposto tutti.

Da dove?

Lui ha indicato il punto di arrivo. La cima di quella montagna, là dove sarebbe iniziata la parte pianeggiante. In alto.

“Mica scemo, l’orso!” – ho pensato.

Ci avrebbe acchiappati – come fanno anche i salmoni, sfiniti dalla risalita del fiume – alla fine di quella scarpinata interminabile, nel momento in cui avremmo comunque voluto essere morti. Non saremmo scappati. Non ne avremmo avuto la forza.

Gli avremmo solo detto:

Ok! Fine! Short and to the point!”, sdraiandoci a terra, mansueti.

L’arrivo, quindi, non presentava più tutte quelle attrattive, a quel punto. Magari l’orso sarebbe stato già lì ad aspettarci.

Ma – come Dio ha voluto – alla fine ci siamo ritrovati sull’altipiano. Con un vento gelido che tagliava le teste. 

La gioia è durata appena un attimo: era, sì, un altipiano: fatto tutto di pietre.

Il Mar Glaciale Artico, visto dall’altipiano
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