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“Ma, insomma, quest’orso polare, poi, alla fine, lo hai visto?”
“Sì, ma no!”
“…?”
“Ora ti spiego!”
Alla fine dell’escursione a Pyramiden, dopo essermi fatta scattare una foto accanto al testone di Lenin (tra noi rivoluzionari, ci si capisce benissimo), sono risalita sulla nave, insieme a tutti gli altri.
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Momento pranzo.
Una minestra che io – date le tre ore di navigazione che avremmo avuto davanti – ho preferito evitare, per ovvi motivi di decoro.
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I miei panini preparati in precedenza si erano rivelati ancora una volta come la soluzione ideale.
Partiamo da Pyramiden, dunque.
Davanti a noi il ghiacciaio.
Bellezza incredibile. Un ghiacciaio ed il mare che si toccavano. Il ghiacciaio si allungava dentro di lui, sinuoso. Un mare turchese, come ne avevo visto di rado, ma anche bianco sporco: il sole, insieme alle nuvole, creava continui giochi di luce.
Dopo aver scattato un po’ di foto e creato qualche breve video, rientro velocemente dentro la nave: surgelata. Servivano cinque minuti di sostegno alla circolazione.
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Faccio pipì e mi sistemo bella comoda in un angoletto caldo.
Tempo tre minuti di pace ed arriva trafelata una delle responsabili dell’escursione: con aria eccitata annuncia a tutti noi che sul ghiacciaio è stato appena avvistato un orso.
Ci precipitiamo tutti fuori. Esco a prua. Vento che ghiaccia e taglia la faccia a fettine sottili.
(non potevo mica rinunciare all’orso, per via del vento!)
(“…e poi: è quasi agosto, dunque siamo in estate, non puoi avere freddo!” – mi ripetevo, come un mantra)
Entusiasmo generale all’idea di vedere finalmente Sua Maestà: mi lascio coinvolgere e mi metto a guardare speranzosa, ma non vedo nulla. Solo ghiaccio. Fermento, intorno a me. Qualcuno sembra aver visto qualcosa.
“Eccolo!”
“Dove?”
“Là!”
“Ma no! Quello è solo un tronco!”
(dice una voce, dimentica del fatto che alle Svalbard non esistono alberi e dunque non ci possono essere nemmeno tronchi)
(nessuno aveva visto nulla, in realtà, nemmeno chi affermava di vedere: potenza dell’elemento suggestivo)
Immaginate la scena: ammesso che ci fosse davvero, era un orso polare, bianco, contro un ghiacciaio, bianco, a circa un chilometro di distanza. Un puntino, forse. Bianco.
Lui stava facendo – mentre riposava – il suo lavoro: si mimetizzava. E lo stava facendo benissimo.
Mentre stavo lì a ghiacciarmi la faccia per sempre, ho cominciato a pensare che fossimo tutti in preda ad una forma di allucinazione collettiva (come la storia dei due cervi del film di Verdone), quando, effettivamente, una passeggera, armata di un enorme teleobiettivo, lungo quanto la Grande Berta, ha mostrato a tutti il suo bottino: l’orso.
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Felicità generale.
C’era. C’è stato davvero! L’orso!
L’ho visto, quindi, ora posso gridarlo coram populo: in foto, però.
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Il vero spettacolo, però, stava in ciò che avevamo intorno.
Eravamo nel bel mezzo dell’Adolfbukta, la Baia di Adolf, dove si affacciava quel ghiacciaio.
Un ghiacciaio che si pavoneggiava – letteralmente – davanti ai nostri occhi.
Dopo l’avvistamento dell’orso avevamo ripreso la via del ritorno, ma quel muro di giaccio continuava a scorrere lì davanti, perché era davvero enorme.
Quello che vedevamo ormai da ore – la luce del sole di continuo oscurata dalle nuvole, per poi riapparire intensa – si ripeteva incessantemente: il mare non aveva mai la stessa sfumatura. Da verde a turchese, poi bianco e poi di nuovo verde.
Il bianco del ghiacciaio. L’azzurro del ghiacciaio. In un paesaggio che presentava di continuo sfumature incredibili: ocra, viola.
Avevo già visto dei ghiacciai, sulle Alpi. Osservarne uno che arrivava a lambire il mare era per me una novità assoluta: l’acqua una fonte di un continua meraviglia, di fascino che non riuscirei a spiegare, se non pensando al fatto che sono cresciuta a contatto con l’acqua ed essa per me è un elemento imprescindibile, un mezzo di cui a volte sento il bisogno, l’urgenza, per riuscire a vivere.
Sento molto l’acqua.
Potrei stare ore a guardarla: è ciò di cui sento il bisogno quando mi serve di riflettere, di meditare su qualcosa di importante.
Ero nel posto giusto.
Non la finivo di fare video, affascinata, come una bambina. Quel ghiacciaio era lì, immenso, con quel suo bianco accecante, arrivava a lambire un mare che, in alcuni momenti, aveva il suo stesso colore.
Bellissimi.
Mi davano l’idea concreta della potenza di certe manifestazioni della natura. Di cui ci curiamo poco, o non abbastanza.
Eppure, sono lì.
Me ne sono restata per un po’ in silenzio, ad assorbire quanto più fosse possibile di quella bellezza e poi, sempre in silenzio, ho nuovamente trovato un angoletto al calduccio dentro la nave, perché cominciava a fare proprio freddo.
Che ora era?
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Impossibile dirlo, senza guardare l’orologio: il sole era sempre lì in alto, non ci sarebbe stato un tramonto da guardare, quella sera, per noi.
Eravamo tutti quanti presi da questa sensazione, credo e lo si vedeva nei volti luminosi che avevamo, nonostante la stanchezza per la lunga ed impegnativa giornata.
Lo si vede anche dalle facce felici che, poco dopo, avevamo a cena, nonostante la stanchezza per quella lunga, lunga giornata.
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