Orsi e balene (prima parte)


Pyramiden: il molo che guarda il ghiacciaio

Devo ammetterlo: quella mattina, quando mi  mi sono messa a fare colazione, ero decisamente in trance. 

Cinque ore di sonno, dopo la gita del giorno prima, niente buio durante il sonno, per riposare davvero, sveglia presto, per riuscire a fare almeno un po’ della mia meditazione quotidiana, senza disturbare troppo la mia compagna di stanza. 

Colazione di corsa, mentre osservavo il mio orologio che non indicava più, come aveva fatto ogni giorno, fin da quando lo possedevo, l’ora in cui il sole sorge e tramonta. 

No.

L’orologio che dà strane indicazioni

Al suo posto una strana indicazione, alla quale non avevo mai prestato troppa attenzione: “luce costante”. Certo, ovvio, lì la luce era continua, senza requie, non ci dava pace. Ventiquattro ore su ventiquattro.

Alle otto e mezza, puntualissimo, è arrivato a prenderci un  pullman, che, dopo avere fatto tutto il giro degli alberghi, per raccogliere noi turisti, ci avrebbe scaricato nella zona  del porto.

Dove ci aspettava una bella nave, grande, solida, bianca e rossa, sbuffante.

La nave ( foto non mia)

Gita lunghissima: della durata dell’intera giornata. Tre ore di viaggio di andata in nave, per una visita a Pyramiden, un tempo fiorente città mineraria, abbandonata e tristemente solitaria dalla fine degli anni Novanta.

L’idea di stare tutto il giorno su una nave non mi entusiasmava, ma avevo già dato alle paure lo spazio che si meritavano. Dunque: partenza! Senza discussione.

Tutti chiacchieravano amabilmente, quella mattina, già sul pullman. Tutti si aspettavano molto da quel viaggio, di cui, come al solito io sapevo ben poco. Avevo, come sempre, dato un’occhiata distratta al programma.

Durante la colazione, poi, avevo sbirciato qualcosa su Wikipedia, ma non avevo capito molto, a dire il vero. Dati storici, qualche foto. Non amo affatto i luoghi abbandonati, ma mi sono diligentemente accodata all’entusiasmo ed alle aspettative degli altri. 

Tutti nutrivano anche la speranza di riuscire finalmente a vedere un orso o una balena, un tricheco, una foca, tra andata e ritorno.

Ok, allora! Che lo spirito degli esploratori artici sia con noi, mi sono detta. 

Mentre salivamo in nave, ho notato la presenza di una lavagnetta, evidentemente aggiornata a cadenza quotidiana dall’equipaggio della nave, dal momento che conteneva il numero di avvistamenti  fatti fino a quel punto della stagione.

Prometteva bene: dalle balene più grandi, ai trichechi, agli orsi, fino alle renne, che nessuno contava più davvero, ormai, a dire il vero. 

Il segno accanto al loro nome indicava: “infinito”. 

Le renne erano diventate come il marziano a Roma, nella storia raccontata da Ennio Flaiano: troppo numerose e troppo prevedibili. Non facevano più notizia.

Durante il viaggio: foto a non finire, video a non finire. Tutti noi.

Mar Glaciale Artico

Le forme bizzarre di quelle montagne non smettevano di stupirmi. Il mare, con le sue sfumature turchesi bagnate di latte, era una meraviglia senza fine, per via dei giochi di luce creati dal sole e dalle nuvole che si alternavano senza sosta.

Montagne dalle strane forme

Ci avvicinavamo ad una zona di ghiacciai: lo si percepiva dall’aria, che si era fatta decisamente tagliente. Gelida. 

Molto più che a Longyearbyen. 

La nave era al completo. Gruppi diversi di turisti, provenienti da parti diverse del mondo.

Tutti intenti ad osservare le caratteristiche di un mondo davvero nuovo ed inedito che si dispiegava davanti ai nostri occhi. 

Le persone a bordo facevano di continuo la spola tra esterno (gelo) e interno (calduccio), per riprendere colore. O bere un caffè.

Mar Glaciale artico e ghiacciaio

Proibizione assoluta di restare da soli all’esterno, obbligo di essere almeno in due, per poter approntare un soccorso tempestivo, in caso di caduta in mare. 

Obbligo di tuta termica per chi si fosse avventurato nella parte più alta della nave, direttamente esposta a quel vento tagliente e gelido.

Il mare, dalla nave. Foto non mia.
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